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PRESENTAZIONE

Caffé Fiorio Torino

Il Caffè Fiorio ha conosciuto una rinascita notevole grazie a Giovanni Firera (foto), torinese per adozione. Firera, attingendo dalla sua profonda passione per la cultura, ha radunato un gruppo significativo di personalità influenti nel panorama culturale della città, dando vita all'associazione oggi conosciuta come Caffè Letterario Fiorio. 

Giovanni Firera


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Questo progetto ha preso forma anche grazie al sostegno di Vito Strazzella, proprietario del locale, che ha abbracciato con entusiasmo il progetto. Ricordiamo che Firera, già fondatore del Caffè Letterario San Carlo presso il Caffè San Carlo, ha promosso innumerevoli incontri culturali in collaborazione con l'Associazione Culturale Vitaliano Brancati, contribuendo significativamente alla scena culturale della città.

Il Caffè Letterario Fiorio a Torino si erge come un fulcro di cultura e scambio intellettuale, radunando sotto i suoi storici soffitti una varietà di menti brillanti: autori, scrittori, filosofi, imprenditori e artisti. Questa istituzione non è solo un semplice caffè, ma un palcoscenico vivace dove le nuove pubblicazioni vengono scoperte e le idee prendono vita. Ogni incontro diventa un'opportunità unica per gli autori di presentare le loro opere, instaurando dialoghi e connessioni con un pubblico eclettico e appassionato. Il Caffè Fiorio, con la sua atmosfera intrisa di storia e creatività, continua la tradizione di essere una culla per l'ispirazione e la discussione culturale, onorando la ricca eredità intellettuale di Torino.

Caffé Fiorio: un locale storico della Torino Sabauda oggi aperto a tutti

“Che si dice al Caffè Fiorio?”. Sembra che con questa domanda tutte le mattine il re Carlo Alberto (1798-1849) aprisse le sue udienze, e a ben donde per un locale che, aperto intorno al 1780, rilevato poi dai fratelli Fiorio all’inizio dell’Ottocento, era diventato negli anni della Restaurazione il ritrovo preferito di intellettuali, aristocratici, ufficiali e diplomatici. Certo, il fatto che fosse conosciuto anche come caffè dei “codini”, dei “machiavelli” o peggio ancora caffè “Radetzky” (dal nome del generale austriaco che sconfisse i piemontesi nella prima guerra d’indipendenza nel 1848-1849) la diceva lunga sulle frequentazioni politiche del locale: irriducibili conservatori che si contrapponevano agli ardenti patrioti del caffè Calosso di via Dora Grossa, ora via Garibaldi. E la sua fama passò anche in letteratura se nel 1845 un anonimo scriveva: «Di nobilitade emporio/ chiuso alla plebe vile/ risplende il caffè Fiorio/ che in sua grandezza umile/ solo ornamenti apprezza/ del tempo di Noè:/ evviva la bellezza/ del nobile Caffè». Sempre nello stesso anno il locale venne rinnovato nell’aspetto grazie a divani di velluto rosso, specchiere, affreschi e sculture di celebri artisti come Francesco Gonin (1808-1889) e Giuseppe Bogliani (1805-1881). Ma frequentato anche dalla borghesia cominciava a non essere più il Fiorio di una volta, tanto che nel 1850 cambiò il nome in "Caffè della Confederazione italiana. Si dovette aspettare la fine del secolo perché la nobiltà ricominciasse a frequentare le dorate sale del “Caffè Fiorio”.

Il locale del 1780 si presentava al fruitore come un ambiente dimesso con la caratteristica principale di essere buio, a causa della scarsa illuminazione dalle candele: per ovviare a questo problema nei decenni successivi si fornì di molti specchi, così da poter amplificare l’illuminazione. Un'immagine di come doveva presentarsi il caffè in quel periodo ci è fornita dalla sua insegna dipinta ad olio oggi conservata al Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama.

Con l’installazione dell’illuminazione a gas, in uso dal 1838, il modo di vedere e concepire gli ambienti interni cambiò notevolmente, non a caso nel 1845 vennero fatti importanti lavori di restauro all’interno del locale. A quest’epoca risalgono i salottini con divani e le sedie in velluto cremisi, ripresi e rimaneggiati nei primi del ‘900, le specchiere preziose che decorano le pareti e gli stucchi delle due sale principali, con modanature a motivi floreali.

Il locale ha subito nel periodo postunitario una lunga serie di rimaneggiamenti e ampliamenti tra i quali si segnalano, nei primi anni del Novecento, l'ingresso a bussola da via Bogino, l'allestimento della sala d'accesso verso il 1920, probabilmente nello stesso periodo in cui inizia, con la famiglia Sodano, la produzione e la vendita dei suoi rinomati gelati, e la creazione nel decennio successivo della sala da ballo e la formazione dell'attuale devanture